Paolo Marazzi Visione e Realtà dell'opera d'arte - Vitaliano Tiberia (Presidente della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon)

La difficoltà di comunicare è caratteristica del nostro tempo, paradossalmente contrassegnato dalla facilità di dialogare planetariamente. In realtà, difficile è oggi la comunicazione di pensieri non effimeri, perché la dimensione del tempo è stata semplificata al presente, ridotta all' hic et nunc, in cui il virtuale spesso prevale sulla realtà e facilitato è il consumo di ciò che non è frutto di riflessione, mentre illimitate sono le possibilità interpretative. Questo ha ridotto la capacità di prendere coscienza della realtà come presenza e preludio del futuro, che l'arte, da non assimilare a qualsiasi operazione estetica, invece mantiene perché è dai dati sensibili che essa muove, per poi trasfigurarli in presenze veritative. L'intuizione dell'artista avviene a contatto con i dati reali, da cui si conforma quella "configurazione sensibile-materiale" (G. W. Bertram) che crea le conoscenze configurate dalle opere d'arte; perché l'arte (avvertiva già Nietzsche) non è solo tecnica e piacere ma è anche "giustificazione dell'esistenza", superamento del nihilismo determinato dal crollo dei grandi valori, dalla "morte di Dio" e dell'arte, e dunque è rappresentazione della verità per antonomasia. E' il vuoto che Fontana ha pensato di colmare superando la linea trasformata in un taglio o in buchi della superficie-barriera per trovare qualcosa"; è il divenire incontrollabile che Burri ha illustrato nelle plastiche destinate alle metamorfosi materiche decretate dal tempo.
Può essere talora il nulla esistenziale che si profila come orizzonte estetico, in cui dissolvere ogni verità di senso, ogni significato, anche se, come nel caso di Burri, ciò non preclude la presenza di un contenuto. Solo il bello (ha avvertito Heidegger), facendosi evento, si dispone nella verità, così che, in definitiva, verità dell'arte e verità dell'essere finiscono per incon-trarsi, anche se non sono coincidenti.
Nell'ambito del post moderno, in cui già Argan vedeva una "cultura del riflusso", si è tentato di arginare, con indirizzi estetici come l'Anacronismo e la Transavanguardia, gli estremismi avanguardistici (logicamente impossibili, del resto, in una società che non crede nel futuro) attraverso il recupero delle tecniche e delle possibilità espressive della grande tradizione figurativa.
Senza trarre conclusioni "ontologiche" poco persuasive, va rilevato che tali tentativi possono tornare utili per delineare, tralasciando gli estremismi contestatori della stessa realtà, un orizzonte più libero da relativismo e casualità, dall'incostanza, se non dall' inafferrabilità dei dati psicologici, in cui la forma artistica è stata spesso circoscritta.
Se l'estetica può favorire una riflessione sul mistero della realtà e sulla rivelazione veritati-va attraverso le opere d'arte, in cui la stessa estetica, per altro, non si esaurisce, si potrà tentare la trasformazione degli eccessi psicologici che proiettano la coscienza oltre l'oggettività dei dati reali, in riflessioni sul significato dell'e-sistenza. Ciò potrà forse attenuare le difficoltà che si incontrano nella rappresentazione artistica di soggetti e temi della religione cristiana strettamente collegati al mistero rivelato dell'incarnazione di Dio in forme umane, che, per ovvi motivi, necessitano di comprensibilità. In altre parole, l'opera d'arte di tema sacro non può essere pensata solo per una ristretta cerchia di intellettuali ma per una vasta platea di fedeli e di comuni fruitori. Il che non significa il ricorso tout court a modelli iconografici del passato presuntamente comprensibili, i quali, salvo rare eccezioni, sono formalmente poco sostenibili: e questo perché la realizzazione di un'opera d'arte implica inevitabilmente un processo critico rivolto al presente e al futuro, che susciti piacere estetico, ma che induca anche a riflettere sulla dimensione microcosmica sensibile e trascendente dell'opera d'arte. Il raggiungimento di un risultato estetico attraverso una discontinuità formale comprensibile può dar vita ad opere d'arte ricche di tensioni ma anche provocatrici di presa di coscienza della capacità che ha l'arte di rendere partecipi anche di verità misteriose. Sembrano accordarsi così la ricchezza delle singole sensazioni e l'universalità dello spirito, per cui già Kant, evocava il libero giocodelle facoltà conoscitive nei procedimenti estetici, che devono avere un senso e una finalità senza tuttavia fini pratici soggettivi.In questa prospettiva critica di modernità e comprensibilità rientra la scultura di contenuto religioso di Paolo Marazzi. In par-ticolare, il ciclo delle tarsie marmoree costituenti la Via Crucis del terzo millennio, nelle quali la potenza del dato materico lapideo si libera di ogni residuo gravitazionale, costruendo delle immagini di rara suggestione, che non sono istantanee di pallidi referti della realtà. La caratteristica di queste tarsie è il dinamismo alimentato da un profluvio di colori e dalla presenza di piani e linee rette o curve, aperte o concluse in figure circolari o in solidi morfologicamente armonici e dissonanti ad un tempo.
E' un gioco libero e squillante di concavi e convessi, di vuoti e di pieni, delineati, o, meglio, scanditi da colori che si illuminano straordinariamente, grazie alla sapiente scelta ed all'accostamento di marmi di varia tipologia che balenano di luce sinistra o gloriosa o risplendono d'oro se denotano la figura del Cristo e della sua croce, sottolineata da Marazzi nella sua identità di simbolo paradossale di martirio e di universale trionfo. I colori cupi (blu, neri, grigi) sono riservati ai carnefici, ma anche, in parte, allo stesso corpo del Cristo, a ribadire la distinzione intellettualistica e di fede fra Logos e materia. Una distinzione cro-matica, questa, che caratterizza l'economia della narrazione e diviene figurativamente dominante soprattutto nelle tarsie delle tre Cadute del Cristo e del suo inchioda- mento alla croce. La tragicità di quei momenti è resa da un turbinio di linee curve, pesanti, falcate e taglienti, assiepate ossessivamente a riflettere la cieca volontà di una massa popolare fanatica protesa ad annientare il "Figlio dell'uomo".
Tale è l'intensità del dramma che viene sospesa la dimensione dello spazio-tempo, mentre si delinea compiutamente un tipo di spazialità figurativa connotata da un flessibile dinamismo, la cui struttura risulta dal contrasto di concavi e convessi, di pieni e di vuoti, come è evidente soprattutto nella tarsia con la II Caduta: qui la concavità amplificata del corpo del Cristo si oppone in decisa tensione strutturale al piano squadrato della croce in una raffigurazione di tre quarti che attesta ancora la resistenza fisica del Salvatore, a testimoniare la volontà divina, incomprensibile agli uomini.
La corrispondenza equilibrata di significato e significante ritorna perfetta nella tarsia con la IlI Caduta, in cui alla definitiva resa delle forze fisiche del Cristo corrisponde una struttura figurativa frontale, con una visione dall'alto che proietta la croce verso lo spettatore, che viene quasi risucchiato nella tragica scena; qui la figura circolare dorata del Cristo, ormai avviata al culmine del martirio, diviene centra-le, misurando con definizione precisa e lineare lo spazio affollato come non mai di inquietanti presenze non figurative, falcate grigie e nere, indistinte come visioni da incubo, che si intrecciano vorticosamente attorno alla solida e gelida marmoreità della croce, vivido preludio all'inerzia tombale del sepolcro.
Questa straordinaria narrazione cristologica procede e si conclude con una ridefinizione antropologica della figuratività, in particolare nella tarsia con la Resurrezione dal sepolcro, in cui il mistero dei misteri è rappresentato in forme geometricamente perfette (i volti dei personaggi sono tronchi di cono) e cromaticamente trionfanti. La Via Crucis di Marazzi, che ha distinto (lo ha affermato egli stesso) la luce dalle tenebre, in realtà rappresenta la sintesi di una sensibile e costante riflessione densa di spiritualità su alcune delle principali poetiche del Novecento: Futurismo, Cubismo, Metafisica, l'opera di Fazzini e di Mastroianni.
Un'opera che non conosce epiloghi, ma che si apre costantemente, grazie alla sua dinamicità strutturale, governata da un magistero tecnico di altissimo livello, a suggestive interpretazioni tematicamente varie e pluridimensionali, conservando sempre originalità e bellezza, ma anche (e non è poco) capacità di non essere fraintesa.

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