La "Via Crucis" di Paolo Marazzi - Carlo Fabrizio Carli

Ritengo di essere stato il primo a proporre pubblicamente la Via Crucis di Paolo Marazzi, a Celano, nell'ambito della XV Triennale d'Arte Sacra e delle manifestazioni per il Grande Giubileo del Duemila. Marazzi aveva cominciato da un anno ad applicarsi a questo suo magnum opus, con il proposito di svilupparlo in tre versioni: disegnativa, sotto forma di cartoni di lavoro che avessero però anche una loro autonoma dignità artistica; una plastica, tridimensionale, come bassorilievi modellati in gesso, in attesa di una loro fusione in bronzo; infine in veste di grandi tarsie marmoree su pannelli rotondi, misuranti ciascuno 125 centimetri di diametro.
Per la XV Triennale aveva ideato una sezione dedicata interamente alla Via Crucis; motivo stimolante della scelta, il fatto che la splendida chiesa celanese di San Giovanni Battista si era appena dotata di una importante Via Crucis in pannelli di pietra auresina scolpiti da Novello Finotti. Accanto a questa presenza stabile, avevo radunato opere di Carlo Lorenzetti, Carla Prina, Guido Strazza e naturalmente di Paolo Marazzi, che esponeva i quattordici cartoni (in risoluzione di 84x72 centimetri) e un bassorilievo in gesso, per l'esattezza quello della settima stazione: Gesù cade la seconda volta.
Nel testo in catalogo, ricordavo la coinvolgente natura laboratoriale della versione grafica; cartoni approntati da unoscultore, in vista della loro trasposizione nel linguaggio e nella dimensione propri della plastica. Trasposizione che, difatti, era stata già effettuata esemplificativamente nel caso citato.
I cartoni si avvalgono - dicevo - di un'elaborazione provvista di una certa quale consistenza materica, che nei solchi fisicamente rilevati, tramanti la composizione, rinviano allusivamente alla finitura della pietra - specificatamente della pietra albana - mediante un paziente trattamento a gradina, tecnica di cui Marazzi è virtuoso cultore, capace di imprimere al materiale lapideo vibrazioni altrimenti inimmaginabili.
La Via Crucis - aggiungevo - veniva a confermare il senso della ricerca di Marazzi, volta alla conquista di una perentoria solidità struttiva, attraverso una composizione formale e funzionale (di una funzionalità tutta plastica) di lontana matrice cubo-futurista, ormai prossima all'affermazione di un processo astrattivo, mediante l'impiego e l'assemblaggio di forme geometriche elementari. E mi sembrava circostanza degna di nota che la figura di Cristo risultasse in questi cartoni costantemente alonata di luce (mentre nella penombra dello sfondo si attestavano gli altri personaggi e i dettagli delle varie scene), quale interpretazione pittorica del primo piano in aggetto, che al Cristo è invece riservato nella risoluzione plastica.
Sette anni più tardi, sempre a Celano, nell'ambito della XVI Triennale e proseguendo idealmente la vasta ricognizione avviata in occasione della mostra precedente riguardo la risoluzione visiva contemporanea di una delle pratiche più antiche e seguite di devozione cristiana, proponevo di Marazzi due grandi tondi in connesso di pietre colorate, altrettante stazioni di questa singolarissima Via Crucis, che era ormai già interamente delineata nella sua ideazione grafica e nella trasposizione tridimensionale, mentre restava in via di ultimazione nella trasposizione in tarsie litiche. Adesso, la presente pubblicazione presenta l'intera sequenza delle quattordici composizioni, nel frattempo completate.
L'enorme, ultradecennale impegno operativo che alla Via Crucis sottende conferma la diffusa e motivata convinzione che Paolo Marazzi sia oggi, con ogni probabilità, l'ultimo autorevole interprete della tarsia marmorea, tecnica che fu gloriosa e nobilissima, specie nel XVII secolo, tra Lombardia e Italia meridionale, basti pensare a Cosimo Fanzago e ai suoi seguaci.
La suggestione particolarissima delle tarsie marmoree di Marazzi deriva anche dall'impiego e dalla sapiente associazione di marmi antichi colorati e preziosi (tali per l'incomparabile ricchezza delle venature e della cromia, oltreché per il pregio venale dei marmi provenienti, spesso, da cave esaurite già nell'antichità classica e oggi reperibili solo nel mercato antiquario), di cui Marazzi, nella scia di tratti fascinosi come Marmora romana di Raniero Gnoli, è conoscitore ammirevole e coinvolgente.
Grazie anche alla suggestione dei marmi, che già affascinarono gli anti-chi, tanto della classicità che dell'età di mezzo, sia sufficiente evocare, a tale proposito, i Cosmati (porfidi e serpentini, africani rossi e bigi, pavonazzetti e fior di pesco, brecce e alabastri, tanto per avanzare qualche nome di un caleidoscopio di variata bellezza), le ideazioni di Marazzi si caricano di una sorta di cosmicità astrattiva, che sembra rinviare, pur nel rispetto di una essenzializzata e rarefatta figuralità, tanto al micro che al macrocosmo, all'infinitamente piccolo della composizione della materia come all'infinitamente grande degli spazi siderali.
Circostanza che, a ben vedere, si confà - quanto meno per il credente - alla cosmica portata del dramma umano e divino e della culminante bellezza del Redentore suppliziato, morto e interprete della gloria della Resurrezione, che la Via Crucis interpreta e sintetizza.

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