di Armando Ginesi
Paolo Marazzi non sarebbe artista - e non sarebbe propriamente scultore - se non possedesse una formidabile capacità di conoscere attraverso la memoria.
Memoria come reminiscenza, cioè come anamnesi (ne parla Platone nel "Menone" ed in altri dialoghi); memoria come ricordo delle idee già conosciute e che tornano alla mente dell'uomo in seguito alla percezione degli oggetti sensibili, sicché la conoscenza sensibile è occasione per richiamare le idee che preesistono nell'anima. Le idee come archetipi jounghiani.
Le opere scultoree di Marazzi sono cosmiche, nel senso che si richiamano ad una dimensione immensa, incommensurabile, temporalmente molto lontana, dentro la quale affondano le radici del mondo e di tutti gli esseri che sono, che sono stati e che saranno. Gli induisti chiamano questa dimensione il Brahman (l'Assoluto), il principio macrocosmico all'interno del quale penetra l'Atman (l'Assoluto in sé), il principio microcosmico.
E soltanto chi sente e comprende che l'Atman è uguale al Brahman può uscire dal ciclo nascita-morte-rinascita del samsara, dalla terribilità della vita e della sua circolarità per raggiungere la mokSa (salvezza).
Questo tipo di conoscenza non si acquisisce attraverso gli strumenti logico-matematici, i meccanismi razionali, ma piuttosto attraverso il Gefùhl e si definisce "conoscenza nel sentimento". Il sentimento non costringe dentro il cerchio soggettivistico, ma compie il passaggio verso l'oggetto in forma spontanea.
La conoscenza nel sentimento è una vera conoscenza che si rapporta ad un oggetto, non totalmente chiara né concettualizzabile ma immediatamente percepibile.
Le opere scultoree di Marazzi sono strumenti di questa conoscenza del Gefùhl le quali si danno come direttamente percepibili e attraverso di esse noi siamo in grado di immergere il nostro Atman nel Brahman cosmico e di identificarlo con esso. Sicché noi tutti torniamo al dominio sconfinato da cui derivano le nostre essenze, a quel nihil dal quale, un giorno che non si può temporalmente determinare, ebbe origine la creazione: un nihil che non è assenza ma presenza piena, quando la negazione buddista (ma anche quella cristiana) è colma di trascendenza; un nihil che è come il Nirvana, cioè stato ineffabile, indescrivibile e indicibile, un positivo e un definitivo in cui vi è la liberazione da ogni provvisorietà: un vuoto, insomma, che risulta stracolmo di pieno.
In questo senso le sculture di Marazzi diventano simboli, ricchi di concentrazione e di potenza, elementi capaci di condensare in sé la ragione dell'essere ed il ricordo di ancestrali condizioni; e come tali agiscono, sulle nostre coscienze interpretanti, come per Platone agivano gli stimoli sensibili capaci di risvegliare, attraverso l'anàmnesi, le idee trattenute nell’anima.
Tutto questo lo scultore laziale lo sente nel proprio intimo e ciò spiega il senso di una sua dichiarazione rilasciata ad Alessandro Masi nel 1986: "la pietra è la spina dorsale del cosmo e delle galassie: lo spazio profondo dove si rispecchia l'animo umano". Per questo le sue opere sono realizzate in pietra, l'albana di Marino, un tufo litoide di colore grigio-chiaro o scuro, di origine vulcanica, austera, calda ed umorale.
Una pietra che sembra farsi luogo privilegiato per albergare il sentimento e dunque, in quanto tale, strumento di primaria importanza per il raggiungimento di quella conoscenza intuitiva che sola può prevenire alla dimensione profonda dell'anima.
Alla condizione cosmica - infinita e smisurata - le sculture debbono quel carattere di monumentalità che pare dominare la storia dei mortali erigendosi come totem con profonde valenze sacrali, strumenti liturgici di comunicazione alta il cui compito è di ricordare che esiste una sfera altra dalla quale si perviene ed alla quale bisogna rapportarsi. E questo messaggio intimo ed essenziale le opere di Marazzi paiono trasmetterlo mediante una energia potente (pietre come cratofani) che fuoriesce dalle proprie strutture in virtù di un movimento continuo derivato idealmente dal dinamicismo perenne degli sconfinati spazi cosmici e iconograficamente debitore dell'insegnamento di Umberto Mastroianni nonché, dietro di lui, della grande lezione di Boccioni e di tutta la tradizione futurista.
Movimento come ragione essenziale di vita, per dirla con Eraclito, movimento come divenire che però Marazzi riesce a coniugare perfettamente con il suo apparente contrario, cioè con l'essere parmenideo, in una sintesi ideale e reale tra stasi e movimento, tra divenire ed essere appunto, tra Atman e Brahman, come si diceva all'inizio, in un equilibrio perfetto che dà alle sue opere uno straordinario sapore di classicità.
Come quella di Fidia, per intenderci, nella quale il fluire del tempo che si fa storia si innalza al di sopra del contingente e dell'episodico per inverarsi nell'ideale metastorico.
Allora tra le grandi ascendenze di Marazzi, accanto a Bioccioni ed al Futurismo, ci sono anche Archipenko, Zadkine e il Cubismo. Tutti costoro, unitamente, lo ripetiamo, Mastroianni che di Marazzi è stato il maestro, hanno fornito allo scultore di marino importanti e qualificati suggerimenti grammaticali e sintattici ch'egli ha poi saputo assemblare e con sapiente manipolazione in un linguaggio originale la cui peculiarità, come già detto e ripetuto, si è costruita sulla sintesi e sull'equilibrio, da lui posti come obiettivi verso i quali è orientata la sua fortissima tensione esistenziale.