di Leo Strozzieri

Il saggio più alto di Paolo Marazzi lo abbiamo nelle grandi opere, nei monumenti è implicita nella sua operatività di scultore la fatica, il dialogo talora veemente con la materia, specialmente la pietra albana, tratta ancora dalle cave dell'antica Castromenium, nei pressi di Marino. Proprio nelle opere monumentali vedo un arcaismo lirico mediato da una tecnica assai pura in grado di proporre figure o forme con anamnesi culturale le quali diventano archetipi cui è possibile riferirsi nella dinamica della storia. Appartengono quelle forme al passato per l'austera ed incisiva consuetudine umanistica ed al presente per lo scatto evidente, per la pregnanza di relazioni ambientali e soprattutto per un linguaggio plastico modulato sui canoni delle avanguardie.
Due assunti mi sembra di poter evidenziare sia nelle opere monumentali come nei bozzetti ed in genere nelle sculture di Marazzi: da una parte la descensio, la volontà di mortificare l'immagine antropomorfa quasi a volerla esorcizzare in un atto di laica spiritualità, e dall'altra la regolazione, l'amministrazione del dinamismo in forme ovoidali, presagio e certezza d'una ciclicità o meglio della circolarità dello spirito. L'inserto di questo itinerario perenne sul piano espressivo conduce a forme pure, levigate, mentre su quello filosofico permette il recupero di valenze che si connettono con le teorie eraclitee e per agganciarci a tempi a noi più vicini con Bergson. Marazzi coglie in tal modo la problematica della coscientizzazione del tempo: la memoria raccoglie il passato (non a caso la pietra albana eruttata sessantamila anni fa durante l'ultima eruzione del vulcano di Albano, che quindi con referenze storiche precise ben si adatta all'artista) e lo conserva nella psiche nel cui ambito è in continua evoluzione.
In tale prospettiva può e deve essere inserito anche il discorso sulla tarsia, di cui Marazzi è tra i massimi cultori in Italia. In una recente intervista rilasciata al critico Masi così egli si esprime: "La mia ricerca sulla tarsia non è altro che il recupero di un antico mestiere nato 5000 anni fa in Asia Minore.
La parola 'tapsir' proviene dalla Persia, toccò l'antico Egitto, la Grecia e l'antica Roma; ritrovandolo nel medioevo di cui erano custoditi le famiglie Cosmatesche, Comacine, e Vassalletto ... Rotari con un editto difese questo lavoro! Nella mia ricerca attuale esiste un forte collegamento con quella nobile e antica tradizione che fu l'opus sectile e ad incasso, riportando così, all'alba del 2000, un discorso finito nell'età di Roma Barocca". Materia tipica delle sue tarsie la pietra policroia che permette proprio di cogliere l'incidenza del tempo su di essa: l'unica esibizione logica che lega il presente al passato. Una sorta di diario è possibile leggere guardando i piani cromatici: si intuiscono brandelli, cicatrici, apparizioni, connessioni, segni vibratili, accensioni, sagome che sembrano talora dialogare.
Questa materia già carica di una sua ben precisa valenza viene ordinata e connessa secondo una docenza mentale coerente con le sculture.
La sala omaggio dedicata a Marazzi nell'ambito del premio G .B. Salvi di Sassoferrato giunto alla trentasettesima edizione, costituisce un ulteriore riconoscimento ad un artista la cui intensità formale e di pensiero non si perde in strani psicologismi o in retorico sperimentalismo, data anche la sua formazione classica e la schietta prassi artigianale testimoniata da lunghe ore trascorse in dialogo con la pietra.

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