Dello scavo interiore - Boris Brollo
È nella tradizione il lento e sofferto mutamento al fine di trovare la propria strada che superi quella del maestro, o che almeno si ponga di lato, lo affianchi, in una libera e contraddittoria discussione ideale sui mezzi, sugli strumenti, sui crucci incontrati, sulle difficoltà tecnico artistiche trovate nel tentativo, a volte felice a volte infelice, del superamento del Maestro.
È questa la lotta "titanica" e il caso di Paolo Marazzi nei confronti del suo amato maestro Umberto Mastroianni. Diciamo che è il superamento della figura del Padre che vige in tutti noi proprio grazie a quel famoso e oramai consunto Edipo. Oggi, i padri sbrigativamente si uccidono. E più facile arrivare all'eredità. Artisti come Paolo Marazzi invece, se possono, li superano o almeno ci provano.
Paolo Marazzi, lentamente, operando cognitivamente sulla materia, ha tirato via tutti gli orpelli espressivi della scultura del maestro, che poteva renderlo "figlio", optando per una pulizia interiore ed esteriore dei materiali che lo rende più vicino alla purezza dell'Oriente passando per la cubicità futurista di un Malevic. I suoi tondi in marmo levigato diventano dei grandi intarsi, o della tarsie curatissime dove l'universo mondo si fa piatto come nella tradizione tolemaica. In fondo contraddice le leggi della fisica per quelle della mente per dare a noi quello scudo piatto sul quale ogni momento viviamo sospesi con lo spirito, senza il peso corporeo.
Ed è questo il suo nutrimento più naturale: questo suo collegarsi col mondo universo nelle sue grandi linee andando contro corrente. Visto da fuori, da un oblò di navetta spa-ziale, cosa non è se non il gioco piatto di alcuni pianeti il movimento degli stessi riquadrato all'interno di una forma fisica sì, ma piatta? Ed è questo che egli ci fa vedere, poi la prospettiva della profondità fisica sta al nostro cervello recuperarla e renderla più o meno veritiera nello spostare avanti e indietro la visione dell'occhio. Così per la sua scultura eretta. Egli mantiene la circolarità, o parte di essa, spingendola sino all'inverosimile punto di rottura col baricentro.
Si ferma prima. Ha il dono dell'equilibrio, diversamente tutto franerebbe. Ma questa è la sua capacità di cogliere il senso della Fine. Il fermarsi di uno spadaccino che dopo il colpo di fioretto che tocca l'avversario si ferma, facendogli scultura in un ammasso informe, e invece possiamo goderla mentre nel suo ultimo equilibrio grazie alla sua capacità di farci sorprendere e sospendere nello spazio illusorio da Lui costruito. Questo credo sia il suo contributo al superamento del maestro che, terreno qual era, non prestava attenzione al cielo, come fa Paolo Marazzi.