I marmi e i bronzi - Floriano De Santi
L'origine della ricerca figurativa di Paolo Marazzi sta in due ascendenze parallele: nella necessità di dare un'intonazione cromatica alla visione plastica (donde l'intensa attività delle tarsie e il gusto così esteso, sin dalla seconda metà degli anni '70, dei disegni colorati), e nei temi e motivi antropomorfi che lo attraggono si può dire da sempre.
Molti dei lavori quali Messaggio dell'82, Estasi dell'88 e Omaggio al mare del '90, giungono ad un'evoluzione metamorfica proprio per mezzo di una cifra cosmica-ovoidale che li scuote. Il volume, soprattutto nelle sculture, conserva anche in quei casi una sua fermezza e compattezza. Ma insieme con la solidità tattile e con la variazione data dalla policromia, subentra nella forma una forza dinamica che le pone in uno stato di precarietà nello spazio, quasi fossero forme del tempo.
Marazzi ha interpretato dialetticamente le esperienze detle avanguardie storiche (Arp più di Brancusi), nel senso che è riuscito ad aprire alla scultura il varco verso una nuova impostazione del lavoro stesso dell'artista-artigiano, servendosi proprio del materiale più ricco di rimandi, di complessità storico-culturali: il marmo. Nel suo mobile, tenero sensibile trascorrere dei piani, che creano pozze di luce e di nuance, è la pietra colorata stessa (resa morbida e liscia con una lavorazione meticolosa e paziente) a creare, dall'interno, come per emanazione, il senso tridimensionale. Cosi che le allusività percettive si fanno, a loro volta, motivo di creatività: dai profili che rimandano a quelli elaborati dagli antichi maestri Cosmati e Vassalletto, all'analisi delle forme archetipiche continuamente forgiate dalla natura.
Plasmando la luce, più che la materia inerte, nelle primissime prove Marazzi punta nelle trepide invenzioni delle teste e dei busti femminili all'interiorità dell'espressione attraverso la quale la realtà fenomenica, oltre il suggestivo suo manifestarsi nella natura, attinga una vitalità incorruttibile, un'autenticità di sentimento ; negli esigui limiti del mezzo plastico la grave struttura formale del frammento prorompe a un respiro poetico nel suo complesso volto ad esiti opposti rispetto all'ottimale vibrazione luministica di Medardo Rosso. La germinazione melodicamente modulata dei gessi e dei bronzi di Marazzi non conosce mai l'ansito repentino dell'emersione dall'ombra o il puntiglio volontaristico dello scandaglio di una tendenza di cui la luce rivela un sussulto fra due poli negativi, ombra-nulla.
Piuttosto bisogna subito rimarcare nella determinazione delle scelte di Marazzi la portata dell'esercizio fazziniano, in primis nelle sue sfumature più pittoriche, che dovettero offrire al giovane artista di Marino indicazioni molto stimolanti per una libera revisione dell'antinomia accademia-avanguardia, e soprattutto predisporre un modulo inequivocabile per l'autonomo irradiarsi delle motivazioni volumetriche nello spazio circostante senza il ricorso a supporti meccanici o meramente geometrici. in un bronzo del '68, Ritratto, la sua sottile vena lirica, emotiva, la sua dolcezza inequivocabilmente «classica», testimoniano senza sovrastrutture contenutistiche il cristallino rigore formale.
L'equilibrio fra grazia e grandiosità, la scandagliante penetrazione psicologica, ma soprattutto la radicale rielaborazione spirituale che in un'ultima analisi si fa supremo distacco, autonomia assoluta rispetto alla ricerca fisionomica del modello, travalicano nonostante la tensione sensitiva - da una cronaca individuale ad un'evidenza chiaroscurale che dà piena ragione e giustificazione della naturalezza creativa.
Dal '75 in avanti il nucleo esclusivo delle invenzioni di Marazzi è l'antropometria, la misurazione del corpo umano, liberata da tutte le accidentalità, prescelta ad aerostilo virtuale di una pura modulazione architettonica in cui l'artista registra l'emotiva contemplazione interiore di una realtà fuggevole ipoteticamente fissata nell'archetipo euclideo. Egli rifugge dalla spontaneità istintiva; le nitido relazioni proporzionali, i ritmi, i contrappunti, le armonie delle sue candide forme sono il frutto di un'astrazione indefettibile, dove l'ermetismo di fondo si riscatta in un'allusività scevra di ogni astruso simbolismo. Abbraccio del '77, Giuoco del '79, Giuditta e Oloferne del l'82 e Spazi profondi di là dal cosmo del l'87, sono altrettanti esempi indicativi delle musicali strutture marazziane, dell'adamantina lucidità del bronzo che tende ad un'investigazione fervidamente speculativa del recherqe nell'immagine di quell'assolutezza spazio-temporale già postulata dalle avanguardie storiche, che è qui cristallizzata in un'interazione dinamica di sintagmi plastici elementari.
La tarsia come ricamo
Di fronte alla singolare suite di tarsie di Paolo Marazzi mi viene in mente un piccolo, squisito libro di Gérard Macé: Le manteau de Fortuny. Tutti noi conosciamo il famoso artigiano spagnolo, che viveva a Venezia e soffriva d'asma come Proust. Era un enciclopedista, un imitatore meticoloso. Saccheggiava il tesoro del passato: le immagini di Carpaccio e di Memling, la scrittura araba, gli animali fantastici della Persia. Fondendo e variando queste immagini, Fortuny inventava dei materiali e delle vesti fantastiche, che deponeva sui corpi delle signore del suo tempo - anche Madame de Guermantes e Albertine della Recherche - come se nessuno, prima di lui, avesse mai ricoperto un corpo di donna.Nel libro di Gérard Macé, Fortuny è il simbolo dell'artista del nostro tempo. Egli non vuole inventare una storia, né rappresentare la vita reale.
E un enorme ragno, che assorbe nel suo corpo vibrante le immagini del passato. Come gli abiti di Fortuny, le tarsie di Marazzi sono pietre tratte dagli innumerevoli frammenti, che ha trovato in un pavimento paleocristiano o nel paliotto di una decorazione bizantina. Con la «sicurezza del buon mestiere»4, ricama delicatamente ciò che ha ereditato. Prende un testo, l'Odissea, Le Mille e una notte o Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie: lo interpreta: fa risuonare sullo sfondo tutti i miti e le immagini che vi sono nascosti. Come consigliava Borges, questo testo lo racconta un'altra volta. Gioca con le immagini, i colori, le venature, gli echi. Ora intarsia con mano più leggera ora più pesante. Cosi finisce per disegnare un libro paradossale, che è tanto un calco fedelissimo dell'originale, quanto un testo completamente nuovo, che non ha niente a che vedere col proprio modello. L'ars combinatoria della tarsia qualcuno lo ha già affermato - non è mai stato altro che questo: un segno di Giano5, un furto, un ricamo su un ricamo preesistente, una modulazione su un'altra modulazione. Sull'opera di Marazzi ha pesato a lungo una sorta di ipoteca naturalistica per la propensione dell'artista ad aprire il discorso iconico alle suggestioni dell'universo fenomenico, ad accogliere la luce e i colori del cielo e delle acque del Mediterraneo. Ma guardando più attentamente tarsie quali Formazione dell'universo del '64, Nave spaziale dell'84 ed Esplosione solare dell'86, dislocate ormai lungo un percorso di oltre un ventennio, ci si rende conto che fin dall'inizio, anche quando si apre con disponibilità maggiore all'evocazione delle apparenze del mondo esterno, l'artista tende a costruire il quadro sulla base di una griglia spaziale non-oggettiva di ascendenza cubista, In altri termini, Marazzi vuole recuperare valori della superficie e con essa l'autonomia della forma e del colore, che egli assume nella sua fisicità e densità materica: gli stimoli fenomenici sono accolti, quindi, solo all'interno di questa ridefinizione linguistica più mentale ed astratta delle tarsie.Nei lavori del 1989-'90 da Inverno a Fuoco, da Crepuscolo ad Acqua - la griglia spaziale post-cubista si rivela in modi ancora più evidenti, sicché ogni rinvio fenomenico appare, ora, completamente assorbito dall'interno di una complessione dal forte accento sintattico. Le stesse frequenti citazioni della tecnica dell'intarsio, affidate a insorti di schegge di toni puri e squillanti, i valori materici della superficie definiti all'interno di sottili variazioni cromatiche, le porosità lasciate in evidenza sui contorni dei più disparati marmi6, la frontalità a volte monumentale dell'immagine dominante, tutto questo rivela nell'artista la preoccupazione di porre in atto accorgimenti linguistici per richiamare lo spettatore sui valori puri della superficie. Ma la sottile sapienza compositiva esalta la bidimensionalità nel momento stesso in cui variazioni minimali di colore sottolineano un'articolata pluralità di definizioni spaziali, «Le tarsie di Marazzi - ha scritto giustamente Giorgio Di Genova sono come una soda di illustrazione del suo sentire cosmico: sono una sorta di tavole didattiche che dell'immaginario cosmico che egli avverte così lode in sè in quanto uomo-microcosmo e che attraverso una sorta di transfert psicologico di forti risonanze ancestrali affida alla pietra, in quanto per lui, la pietra è la spina dorsale del cosmo e delle galassie».Quale sarà il destino di quest'arte-ricamo, di quest'arte-tappezzeria? Può darsi che oggi la tarsia produca soltanto opere di second'ordine: ultimi fiori artificiali della Koine' alessandrina. Ma in due suggestivi lavori, Aurora dell'Bg e Rosso veneziano dell'anno appresso, mi ricordo un tema della Recherche, che risuona nelle stesse pagine dove è ricordato Fortuny. Gli uccelli accoppiati, che nei capitelli bizantini di San Marco a Venezia bevono nelle urne di marmo e di diaspro, ci annunciano che tutto finisce, tutto si perde, tutto deve ritornare e risorgere nel ciclo dell'universo. Così, forse, può accadere in queste tarsie, dove le immagini vengono imitate, muoiono e rinascono. Forse l'ampiezza della cultura, la sottigliezza dello sguardo, la ricchezza degli intrecci e dei rapporti, la delicatezza del ricamo, il battere inesausto alle porte del mistero, quel tema doloroso e gioioso della morte-rinascita, re daranno un'intensità strana. Forse è possibile sognare una nuova Recherche, tutta tessuta di immagini e frasi altrui, che fungono da madeleines ispiratrici.