II Rassegna Nazionale "GIUSEPPE FAUSTINO" - Leo Strozzieri

Dopo il successo di pubblico e di critica della prima edizione della Rassegna di Arti Visive dedicata alla memoria dello scomparso pittore Giuseppe Faustino, tenutasi nell'agosto del 1995, la città di Ortona attraverso i Progetti Farnesiani, propone una nuova esposizione, nella quale, oltre un consistente numero di opere del maestro Faustino, sono esposte in una sala omaggio sculture, tarsie e cartoni di Paolo Marazzi, con una sezione di nove artisti italiani per lo più giovani, come voluto dagli organizzatori, allo scopo di dare ad essi una possibilità espositiva. Nella passata edizione di Faustino fu presentata la tematica del paesaggio, mentre quest'anno si è voluto allargare l'indagine al tema floreale. C'è subito da dire come egli abbia saputo trovare nella natura una sorta di segnaletica lirica che solo gli spiriti raffinati e puri come lui possono percepire: la sua pittura diviene così vera e propria dichiarazione esistenziale ed ancora un'incontestabile presenza del suo spirito. Si vuole dire che la pittura di Faustino è Faustino stesso, senza quindi sdoppiamenti che spesso si riscontrano in altri suoi colleghi. La volontà dell'artista è stata sempre quella di entrare nel circuito della natura attraverso una visione ottimistica, direi sanfrancescana, sicché possibili escrescenze del dramma che comunque non vanno dimenticate, sono riassorbite in chiave pittorica dalla luce e da uno stupendo tonalismo che rimanda alla tradizione classica. A questo proposito basti pensare all'opera ormai storicizzata Cattedrale di Ortona dopo la distruzione, posta sulla copertina del catalogo nella prima edizione dalla rassegna: il dramma bellico non è gestualmente barocco, bensì composto quasi la presenza della provvidenza nonostante tutto compenetri di sè la scena. Quanto alla tematica del paesaggio, si tratta di scorci della sua terra abruzzese, soprattutto della natia Ortona, a cui Faustino è stato sempre affezionato, sino a comprenderne i segreti, la forza, la dolcezza e le asperità, attraverso un contatto che giorno dopo giorno ha dato frutti di osmosi. Della sua terra è registrata nei dipinti la magia del silenzio: è riuscito ad azzerare completamente le voci esterne, dando spazio ad una conformazione linguistica misteriosa ed interiore. Proprio una simile ideazione degli scorsi paesaggistici da un lato serve a ricucire il dialogo interrotto tra l'uomo e la natura, dall'altro consolida un rigoroso disegno metafisico dell'autore. Si vuol dire che Giuseppe Faustino s'imbarca in una virtualità temporale totalmente diversa da quella presente, quasi che il dipinto sia dotato di valenze allegoriche e rimandi ad una realtà "altra". La stessa tematica dei fiori, a cui prevalentemente è legata la mostra di quest'anno, si eleva dal contingente attraverso la saggia distribuzione nelle superfici di ulteriolri elementi compositivi mirati a sottintendere altre correlazioni. Torna qui il problema del vero nell'arte, che dovrà essere superato perché si attivi quel processo di accadimento universale nella proposta iconica del particolare. Faustino riesce bene ad esprimere questa tensione, facendone cardine per il fruitore di oggi e di sempre. Si aggiunga poi dal versante strettamente pittorico l'esemplare equilibrio delle forme e l'indiscussa perizia a proporre le atmosfere degli avveni_menti (anche la composizione floreale è un avvenimento per uno spirito raffinato), veri e propri contesti senza i quali la narrazione sarebbe fredda e scientifica. Arricchisce questa rassegna, come si diceva, una sala omaggio a Paolo Marazzi, scultore con all'attivo numerose opere monumentali eseguite per spazi pubblici in diverse città d'Europa e massimo cultore della tarsia. Lunga, valente e prescelta la sua consuetudine e direi la vocazione con la pietra: governa ed è governato il suo spirito dalla pietra, sia quella carica di storia, denominata pietra albana, come quella policroma adoperata per le stupende tarsie, per lo più dall'andamento circolare e comunque ovoidale, quasi a dare valenza genesiaca a tutto il suo lavoro.
Contano in Marazzi le articolazioni spaziali, le costruzioni esemplarmente rapportare con i simboli dell'universo. I corpi celesti, i profili del creato, gli spessori plastici, la stessa emissione della luce: tutto converge in una dimanica avvolgente che man mano si integra attraverso le compenetrazioni, i parallelismi, il serrato dialogo tra i momenti di una stessa spinta formativa. Ed il discrimine tra le concessioni accattivanti e l'itinerario rigoroso è quanto mai evidente, poiché mai il maestro laziale si lascia coinvolgere da sentimentalismi linguistici, essendo sobria la sua formazione classica. Egli ama manipolare la materia e con straordinaria raffinatezza farla lievitare nell'atto del "togliere" il superfluo della materia stessa, vera e propria dialettica quindi tra l'asportazione e l'edificazione dei volumi. E poi, come non rimanere inchiodati dinanzi alle sedimentazioni della luce sulle superfici delle sue sculture in pietra, allorché sensibilmente differenziata ove si tratti di parti levigate o di zone ruvide, sembra assumere un andamento statico e cinetico allo stesso tempo? E che dire dell'ars combinatoria nelle tarsie, che testimoniano anche la sapienza logica con la quale piega alla composizione le policromatiche venature casuali delle lastre di pietra? Si è molto detto e scritto sul ruolo del "caso" nell'arte contemporanea: abbiamo in Marazzi un esempio probante di pacifica convivenza di caso e logica, poiché la conformazione naturale della materia viene gestita, direi pilotata ed asservita ad un progetto ritmato, come detto, da una stilizzazione circolare.
Abbiamo poi in mostra nove artisti, a cominciare da Fernando Battista maestro indiscusso ormai, con una espressività cromatica potente. Si resta coinvolti dal circuito materico e dalle dense tonalità dei suoi dipinti, movimentati da una rabbia interiore che per associazione ci rammenta il suo iniziale impegno ideologico. Affidata ad una sapiente smfoma segmca la recente ricerca di Renato Marini che struttura i piani monocromi con intensionalità dimanica, mentre il suo collega Antonio Iacovetti è teso ad esternare il magma interiore con una gestualità prepotente. I segni sono perentori al limite della violenza fauve e, collaterale però, sussiste anche un discorso di progettuahta compositiva. Luca Sguanci dal canto suo propone in chiave di contemporaneità una iconografia classica, accuratamente disegnata: incontro-scontro da cui emerge, oltre naturalmente una raffinata sensibilità decorativa, un intricante spiazzamento temporale, fino a rendere "metafisica" la sua composizione. Anche la figurazione di !annetta si giova del patrimonio iperrealista, ovviamente con una tecnica puntigliosa e particolareggiata, a differenza di Grazia Cicchinè assestata sul versante del minimalismo segnico grandemente ritmato dal silenzio degli spazi che fanno da scenario misterioso ai simboli ancestrali e magici. Abbiamo infine due giovani artisti ortonesi: Gianpaolo Giambuzzi e Roberta Valentinetti, che con Rocco Iannelli chiudono le presenze di questa rassegna. Mentre Iannelli porta avanti con passione e competenza il suo progetto neoinformale, differenziandosi dai suoi colleghi di indirizzo per una meritevole apertura lirica del suo colore e per un controllo efficace dell'orgia materica, Giambuzzi affida al segno la formatività dell'immagine e la perlustrazione architettonica dello spazio e Valentinetti, memore della lezione di Pozzati, porta gli oggetti adeguatamente minimalizzati ad un interessante livello di incantamento, fermando quasi come accadeva al grande Morandi il tempo, perché meglio fosse valorizzata la realtà sottratta allo scorrere del tempo.

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