di Francesco Butturini

Di fronte al prezioso e difficile lavoro di quest’artista, la tentazione - giustificata - è quella di voler indagare, prima di tutto, sullo strumento raffinato che egli usa: la tarsia marmorea. Strumento antico di millenni. Strumento tuttavia raro, sempre più raro, con il quale non mi sembra si siano cimentati così tanti artisti, sia ieri che oggi.
L'indagine, dunque, si presta e solletica: ma, a mio avviso porta lontani dalle intenzioni di Marazzi, che è artista, che è poeta, ed ha quindi un mondo lirico da farci conoscere, ed una struttura culturale attraverso la quale questo mondo si fa conoscere. Certo, non ce dubbio che la singolarità eccezionale del mezzo realizzativo interessi direttamente anche il linguaggio dell'artista. Non può non essere così.
Diversamente non si comprenderebbe perché Marazzi abbia scelto la tarsia marmorea. Altri, tuttavia, in questa pubblicazione si occuperanno di indagare la storia della tarsia e le strade attraverso cui essa giunge fino a noi e perviene quindi nella mani di Marazzi.
Io desidero, invece, liberato da questo pur importante compito, muovermi nel mondo immaginifico di Marazzi, dentro il vortice sidereo delle sinusoidi erratiche della sua fantasia. Dentro questi spazi marmorei di una profondità inusitata. E desidero farlo libero da preoccupazioni sulla materia della tarsia, perché mi sembra che essa sia direttamente legata alla realizzazione dell'opera d'arte come i colori usati da Picasso lo erano per la realizzazione della sua opera.
Eppure non sono molti, mi sembra, i critici che si sono preoccupati di andare a studiare le marche di oli, di tempere, di acrilici, di acquerelli usati da Picasso.
Credo ci sia un punto di partenza culturale ed empatico nella produzione di Marazzi che va sicuramente collocato nell'alone futurista anzi, si debbano aggiungere altre vie, altre risorse poetiche dalle quali egli ha attinto e attinge con acuta intelligenza e sensibilità artistica. A partire da Giacomo Balla, dagli studi sulle automobili del 1913, agli studi sugli spostamenti di Mercurio del 1914, ai "Feu d'artifice" del 1915/16, a "Le bandiere all'altare della patria" del 1915, agli studi delle linee di forza del "Pugno di Boccioni'; versione a tempera e scultura in ottone, del 1915. E poi Fortunato Depero, i suoi studi sul movimento degli uccelli del 1916.
Ma non sono vere e proprie tarsie anche "Le boulevard" e "La danse du Pan-pan au Monico" del 1911 di Gino Severini?
Si tratta di indicazioni d'origine che, come sempre non risolvono il valore della ricerca di chi le compie, ma servono, tuttavia a determinarne il linguaggio, servono a identificarne lo spessore, la persistenza, la certezza comunicativa.
Strade, dunque, per le quali e dalle quali Marazzi ha desunto stimoli e sollecitazioni per il suo viaggio, per il suo cammino, sospinto da una forza lirica profondamente imbevuta nel Decadentismo europeo d'inizio secolo e In linea, quindi, con un sentimento panico della natura che si eleva alla ricerca più affascinante delle origini dell'umanità, forse sollecitato in questo, forse anche facilitato, dalla misteriosità e dalla remota antichità dello strumento con cui egli lavora, questi preziosi marmi dai nomi già di per sé poetici e affascinanti.
Parlo di una ricerca che scava nel profondo dell'umana condizione già a partire dalla primissima tarsia, "Formazione dell'universo" del 1964, quando Marazzi era appena diciassettenne.
E da qui, dunque, che bisogna partire per seguire lo sviluppo interiore della sua ricerca, e scoprire che essa, fin dalle origini, trovava perfetta congenialità proprio nella materia marmorea, nelle vene, nei colori, nelle marezzature, nei viraggi tonali, nelle possibilità combinatorie dei marmi.
Esempio già pienamente maturo di questa ricerca può essere "Sfaldazione" del 1977 in cui il gioco delle prospettive ardite, quasi sperimentali, si articola con un gioco raffinato di tonalità, in un disegno complessivo decisamente riuscito nell'impostazione e certamente lirico per i sommovimenti spaziali che individua e più ancora per quelli che suggerisce. Movimenti che sembrano mantenere, proprio per la lucentezza cristallina dei marmi, una leggerezza originale fortissima. Sembrano conservare l'abbrivio del primitivo movimento. E non è questo uno dei più chiari desideri di tutta l'arte futurista? Il massimo del raggiungimento in questa ricerca di spazialità difficili, aperte al permanere della soluzione individuata in stato di eccitabilità, credo sia la tarsia, grigio-rosa si sciolgono come nastri di vento astrale su di un fondo dalle delicatissime marezzature azzurre. Il movimento si scioglie come un ritmo concentrico di danza lentissima in cui i tempi sono sincroni ma non meccanici. Qualcosa di simile mi sembra lo raggiunga, ma con un altro materiale, solo Carmelo Cappello, e su dimensioni diverse.
Così dicasi per la tarsia "Fuoco" in cui il movimento si fa più ampio e il gioco dei colori e delle tonalità è più condensato per evidente volontà mimetica ed allusiva.
Su questo argomento vorrei far notare come la ricerca di Marazzi non tenda all'astratto totale. Certo non tende all'informale. La sua astrazione mantiene forti caratteristiche se non altro geomorfiche che offrono costantemente il senso diretto di lettura delle opere.
Voglio dire che, dopo aver osservato attentamente alcune opere di Marazzi, anche quelle circolari nei tondi, è abbastanza facile coglierne il verso e situarle correttamente, pur senza l'indicazione dell'artista. Significa che la loro lettura presenta con facilità un inizio e una fine.
Questa conchiusa fruibilità dice anche la precisa volontà lirica dell'autore che sente la necessità di non perdere, per così dire, il filo del discorso perché sta trattando delle origini del mondo ed è già difficile seguirne la traccia quando ci si addentra nei misteri delle nostre origini.
Non vorrei, però, che sembrasse che il contenuto delle tarsie, si sovrapponesse alla loro godibilità in sé e per sé, come è di fatto e come è giusto che sia per un'opera d'arte, la quale deve porsi davanti a noi non per quello che dice o deve dire, ma per quello che è, per il suo esistere come alternativa alla natura, senza altre giustificazioni.
Per Marazzi questo risulta poi di quasi naturale facilità per la scelta del materiale. La natura si offre intatta, appena toccata dal taglio del levigatore, ma le sue vene più remote e profonde, i suoi colori più naturali e preziosi, le sue sedimentazioni, insomma la sua storia più profonda, è già sciorinata davanti ai nostri occhi incantati.
È questo l'incanto di opere come "Verso lo spazio" del 1980, "Marte" 1987, "Risalita dal fondo" 1983, "Nascita del cosmo" 1984, in cui si esprime in pieno sia la ricchezza dello strumento sia la sicurezza della scelta, per cui il gioco delle parti fra scelta e materiale permette di raggiungere effetti sia spaziali che cromatici e tonali di grandissimo effetto lirico, e l'occhio non si sazia di vagare fra le venature anche piccolissime dei marmi e i giochi spaziali-geometrici che le combinano ricavandone forme in una girandola infinita.
Questo è il fascino più vero e più resistente del lavoro di Marazzi ed è questa anche la novità più vera e più interessante della sua ricerca, perché, se si ricorda bene, si vedrà che prima di lui, la tarsia era quasi sinonimo di misteriosa presenza divina o di morte, come stupendamente avviene nelle tombe medicee a Firenze.
Con Marazzi questa difficile arte si libera definitivamente dalle funzioni sacrali ma in fondo limitate che fino ad oggi le erano state attribuite e si propone come spazio di ricerca artistica completa, spazio di linguaggio artistico e potico moderno capace di esprimere le ansie più profonde dell'umanità del ventesimo secolo.

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