Dal Bernini a me - Salvatore Di Bartolomeo

Paolo Murazzi, scultore, grafico e maestro dell'arte delle tarsie in marmo. Allievo e attualmente assistente di Umberto Mastroianni, uno dei più grandi scultori viventi della storia dell'arte contemporanea, ricalca i successi del Maestro a livello internazionale per la manumentalistica.
Marazzi, che ha fatto tesoro della grande lezione, non solo del suo Maestro, ma di altri artisti del mondo classico, moderno e contemporaneo, oggi, con la sua personalità plastica, con le sue sintesi volumetriche, con la sua poetica spaziale, è l'unico, se non il solo, ad avere "nelle vene" di come sbozzare e "plasmare" la pietra lapis albanus di Marino (alle porte di Roma), sua terra nativa.
Un erede di quegli artisti che arricchirono la Roma Imperiale. Paolo Marazzi, con le sue volute curve, con il suo modellato a spirale e con l'abile gioco tra spazio fisico e spazio architettonico, ha arricchito numerose piazze italiane e straniere: monumenti a sua firma figurano, infatti, a Berlino, Wangherogie, Roma, Marino, Tolentino, Siena, Belforte ed al Museo-laboratorio di Pieve di Soligo, Treviso.
A parte la sua notorietà di scultore della pietra albana, Paolo Marazzi non ha mai lasciato gli interessi per la lavorazione del marmo pregiato che da oltre trent'anni lo lega al fascino delle tarsie. Un lavoro complesso e di estrema perizia per tecnica e per selezione di materiali antichi, rari a trovarsi in tutta l'area mediterranea. Un'arte composita che richiede ingegno, estro creativo e risale, per tradizione e storia, agli antichi babilonesi.
Conoscenza, "pratica manuense" che l'artista ha acquisito in dieci anni quale restauratore dei capolavori del Bernini ai Musei vaticani. Pochissimi addetti ai lavori e non, conoscono il valore e il modo di trattare i marmi dell'isola di Caristo del Mar Egeo, il verde della Tessalia, proveniente dal Peloponneso, il giallo di Numidia o il porfido e l'alabastro dell'alto Egitto.
Marazzi non "incapsula" là forma nel blocco scultoreo. È uno scultore di proiezioni spaziali.
Lui, pur non essendo un artista d'istinto, ma di meditazione, di concetto, di elaborazione, imprime nei suoi lavori una carica di energia proiettiva con libertà creativa sia nella volumetria plastica "rampante", sia nei suoi elementi sferoidali, concavi o convessi.
Sono forme che nel ritmo eguilibrato dei vuoti e dei pieni e nella loro astrazione, nascono e si evolvono su concezioni ellittìche che nell'ottica spaziale danno l'esatta visualizzazione di forme proiettate in un' "orbita galattica". Sono sintesi concrete di un più ampio disegno immaginario: ed è proprio in questa forza immaginativa che Marazzi ci dà la possibilità di individuare "archetipi" figurativi, di vivere nel moderno il classico, il classico rinascimentale in un umanesimo del terzo millennio. Sono volumetrie plastiche moderne, serene, accorate.
Materia "lavorata", sottesa nel divenire.
E non è a dire che la pacata annonia scultorea di Marazzi è priva di colore: non lo è perché l'artista, per intuizione o per sensitività, sfrutta l'incidenza luce, il chiaroscuro: un colore mitico che su di essa predomina proprio perché l'artista sfrutta, "specula", tra lo scabro e il levigato sulla natura lapidea del caldo grigiò della pietra albana di Marino. Quel grigio che è la componente primaria dell'iride.
Paolo Marazzi non si rivela artigiano dedito alle tarsie. È un maestro del tapsir, che nell'antica Babilonia stava ad indicare tappeto di marmo. E se l'artista attraverso la sua scultura di pietra millenaria ci da sensazioni P1astico-cromatiche, nella lavorazione in piano del marmo, ci offre fantastici "rosoni" policromi, "catturati". dalla grande lezione dei maestri mannorari della bottega del Bernini.
Tra idea, progettazione e realizzazione Marazzi scultore che vive il proprio tempo, si rifà al cartarie. Ripercorre la metodologia dei maestri del passato. Da questa tradizione progettuale nascono sculture e tarsie. Infatti i suoi cqrtoni colorati hanno due pregi: sacralità e segno primario. Valori che significano far rivivere l'antico nel post-moderno. Autentiche preziosità.
Opere inedite: non di pratica quotidiana perché avulse da smalti, oli, acrilici, colori sintetici.
Sacralità perché l'artista, forte della sua esperienza, recupera le polveri derivanti dalle molature di "frammenti archeologici" che usa per le sue tarsie (giallo di Numidia, verde di Tessalia, alabastro, manni di Caristo ...) polveri che impasta e fissa sui cartoni. Un desiderio, un sentimento intimistico di una contatteria totale con la materia antica, con la sua "caduta" e con i suoi "umori". Ovvero il riutilizzo, la risignificazione delle "perdite" di presenze remote per una nuova vita nel linguaggio poetico contemporaneo.
Segno primario perché il frottage, l'incisione che l'artista esercita sulla materia rappresa sul cartone, rappresentano prototipi delle forme delle sue sculture o progetti primari delle sue tarsie. Lo spessore, costituito dalla grana della materia incisa, assume valore di bassorilievo, di una scultura piana, arricchita dalla componente cromatica che interagisce nella globalità compositiva dell'opera.
L'emergenza di toni caldi, il raccordo tonale degli accostamenti timbrici, i percorsi tracciati come trame della memoria, ci proiettano in una poetica sinopiale dell'era della realtà virtuale. Ed è proprio con questa poetica, con questi cartoni moderni, ma d'impronta rinascimentale, che Marazzi, si presenta per la prima volta nelle Marche preludendo, nella galleria "Filelfo", una personale di più ampio respiro: Sculture, tarsie, progetti.

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