Scolpire la terra de l'Antica - Carlo Fabrizio Carli
L'interesse di Paolo Marazzi per il materiale ceramico nasce dall'incontro con Alviero Moretti e dalla frequentazione della sua ben nota manifattura l'Antica di Deruta. Quello di Moretti, un imprenditore che associa il rispetto per l'illustre tradizione figulina umbra alla promozione dei linguaggi creativi contemporanei, è stato, in questo applicarsi dello scultore alla terracotta, piuttosto il ruolo - certo fondamentale - di ciò che in una reazione chimica si chiama catalizzatore, vale adire, una presenza che favorisce e accellera un determinato processo. E ciò senza nulla togliere alle qualità native che dell'operazione restano gli ingredienti ba-silari, che sono poi la capacità inventiva, l'abilità manuale e fabrile, ma anche una scelta - almeno nel nostro caso - nient'affatto neutra e inter-cambiabile, della materia impiegata.
Intendo dire che la predilezione di Marazzi per un materiale arcaico ed austero come la pietra albana, il lapis albanum della sua terra marinese (una sorta di peperino dalla nobilissima storia di impiego d'arte, che spazia attraverso i secoli, dall'antichità classica al Novecento), ma che resta ormai soltanto lui a scolpire, ottenendo, con l'uso sapiente e paziente di scalpello, mazzuolo e gradina, una pelle litica dalla finitura ricca e vibrante, non poteva non aprirsi a quell'altro materiale primige-nio, dalle valenze e dai simbolismi creazionali, come la creta da impa-stare, plasmare e cuocere, che la mano dell'artista, fattosi pure, nell'esercizio della tecnica, artigiano, modella con libertà istintuale e una sorta di appagamento demiurgico.
Tanto più che le opere esposte in questa mostra non costituiscono affato i primi frutti dell'applicazione di Marazzi al materiale ceramico: già nel 1998, sempre presso l'Antica, lo scultore aveva realizzato una serie di piatti d'autore dipinti con i suoi inconfondibili temi; due anni più tardi, prova ben più impegnativa, era stata la volta di un grande bassorilievo che venne acquistato da Maurizio e Martina Corgnati per il museo all'aperto della città di Maglione per non parlare della realizzazione di vere e proprie sculture ceramiche, e ancora di vasi e piatti d'artista.
Ed ecco, infine, che nell'ambito delle mostre dedicate periodicamente da l'Antica all'arte contemporanea (con il coinvolgimento di maestri come Abbozzo e Dorazio, Mannucci e Mastroianni, Turcato e Uncini, tanto per fare qualche nome indicativo), Alviero Moretti, ha invitato Marazzi a realizzare una serie di opere di vaste dimensioni, tredici altorilievi in terra refrattaria, sei rotondi, tre quadrati e tre rettangolari, più un ovale.
Opere in ceramica smaltata, in cui cooperano le due valenze essenziali della terracotta, quella plastica, tridimensionale, in breve scultorea, e quella di supporto dell'intervento pittorico, propriamente disegnativo e cromatico; anzi, appunto la duttilità della materia, consente che il disegno sia tanto dipinto che inciso, mediante uno stilo. Accanto ai pannelli, Marazzi espone poi un'ampia selezione di piatti e di altri oggetti in terra decorata da lui realizzati a Deruta.
E' agevole riscontrare in queste grandi opere ceramiche le caratteristiche peculiari della plastica di paolo Marazzi, scultore aduso ad affrontare e risolvere interamente con le proprie mani il blocco di pietra, per lo più di grandi dimensioni, e che, ora, direttamente ha modellato i grandi tondi e piatti di refrattario.
Quale il contesto privilegiato in cui si muove la scultura di Marazzi? Di certo quello dell'Astrattismo di matrice geometrica; ma, altrettanto sicu-ramente, non si tratta di un'astrazione di valenza concretista, distaccata dagli influssi della realtà fenomenica.
Innegabilmente hanno lasciato echi in lui grandi maestri della plastica contemporanea: la scomposizione di marca cubista di un Archipenko e di un Lipchitz, nonché la mistica depurazione formale di un Brancusi e di un Arp.
E poi, ecco, un'attitudine che riscopre, tra i propri referenti privilegiati, la scultura futurista, tutta improntata a dinamismo, a tensioni centrifughe, all'individuazione delle linee di forza. Eppure nell'artista marinese le tensioni interne della materia, che in altri maestri (penso, ad esempio, a Mastroianni) possono giungere alla forza deflagrante di un'autentica esplosione, sono piuttosto ricondotte nell'alveo di un poderoso sintetismo struttivo.
Nel nostro scultore, il processo di trasfigurazione immaginativa non taglia mai i ponti con il vero di natura; mai viene bandita del tutto la legittimazione delle istanze figurali.
Questo è un nodo fondamentale della poetica di Marazzi, sul quale si sono soffermati molti dei critici interessati al nostro artista; gli "accenti naturalistico-descrittivi" (Apa), percepibili nella declinazione antropomorfica della raffinata stilizzazione compositiva, restano per lo più cir-coscritti, infine risolti, nella "riduzione della forma in [quella] prospettiva ciclica, ovoidale o elicoidale", in cui Benincasa scorgeva giustamente "il sintomo di un'interpretazione mistico-rituale dei suoi elementi culturali e di una simbologia junghiana". Ma soprattutto sussiste in queste opere, come del resto nelle splendide tarsie marmoree, che Marazzi realizza utilizzando marmi antichi dalle fantastiche venature (in effetti, sussiste un legame stretto tra i due materiali e ambiti espressivi; spesso lo scultore impiega negli uni e negli altri gli stessi cartoni); sussiste - si diceva - una comune vocazione a porsi quali "specchi cosmici": un silente e perentorio delinearsi di orbite siderali, di forme primigenie, di armoniche concordanze del macrocosmo celeste.
Questa pregnanza cosmologica, peraltro di perentoria istanza, è chiaramente percepita ed evidenziata dall'autore, ed esplicitata nella titolazione (Preistoria cosmica, Amanti cosmici, Danza cosmica). Sigle che parlano chiaramente dell'associazione che questi diorami ceramici istituiscono con l'infinitamente piccolo o l'infinitamente grande della mate ria, inabissandosi tra le strutture molecolari, ovvero proiettandosi tra le concordanze siderali.
E, anche nel dominio ceramico, Marazzi non trascura una tematica che gli è molto cara e congeniale, come quella sacra (Annunciazione).
Discorso a parte è quello che concerne la definizione cromatica di queste terrecotte, grazie all'impiego di colori in genere assai vivaci, che sopravvengono a sottolineare gli oggetti, e magari a mimare l'effetto delle parti in luce e in ombra delle sculture liberamente articolate nella tridi-mensionalità, e che comunque si associano e si avvalorano grazie alla cromia naturale del biscotto ceramico.
E poiché non si dà artista vero e, nella fattispecie, non si dà scultore, che non sia pure valente disegnatore, anche Paolo Marazzi, scultore di poderoso sintetismo plastico, coltiva assiduamente l'esercizio disegnativo, non indirizzato al conseguimento di effetti pittorici, ma funzionale all'ideazione delle sue opere. Si tratta di disegni propri di uno scultore, che poco concedono alla piacevolezza grafica, ma che riescono tutti finalizzati alla definizione tridimensionale dell'opera; ovvero agi accostamenti cromatici dei vari marmi (e questi sono non di rado dei rari e preziosi frammenti antichi; porfidi e serpentini, rosso africano, cipollino, portasanta, broccatello, e via di questo passo, attingendo al memorabile testo di Raniero Gnoli, Marmora romana). Un repertorio in cui Marazzi si muove con assoluta padronanza, nel caso dei disegni preparatori delle sue virtuosistiche e giustamente famose tarsie; e ora anche delle porzioni diversamente trattate cromaticamente delle sue ceramiche. E se ai cartoni al vero è affidata l'ideazione di questi che potremo definire, usando la formura di Henry Laurens, eventi plastici; ai più piccoli e preziosi bozzetti spetterà invece di racchiudere la definizione cromatica delle opere in via di approntamento.
L'insistenza, nell'opera di Marazzi, sul tema antropomorfico, assunto a motivo figuarale per eccellenza, si accompagna ad una forte opzione spiritualistica, ravvisabile nel riconoscimento dell'uomo quale artefice di storia, portatore di una dignità, di valori e di istanze eticamente motivate ai più nobili livelli.
Una convinzione umanistica sembra emergere perentoria dall'intera attività di Marazzi, così da giustificare la lettura di Floriano De Santi, che ha voluto iscriverla "sotto il segno di Giano", vale a dire di una compresenza stimolante di antico e di moderno, di tradizione e di innovazione, di sperimentazione e del museo. Una serie di endiadi che si risolvono per lo scultore non già in aporia debilitante, ma in feconda matrice ispiratrice: il visitatore della mostra, come pure il lettore del catalogo che l'accompagna, potrà rendersi conto direttamente di come le ceramiche esposte in questa occasione di ciò costituiscano conferma.