Marazzi e il mito dell'uomo di Bovillae - Leo Strozzieri
Ritengo che l'opera di Marazzi, soprattutto la sua scultura monumentale in pietra albana, sia legata ad una concezione dialettica del tempo che in radice implica il gioco dell'accumulo di civiltà del passato e parallelamente la prospettiva escatologica, avveniristica ove idealmente confluisce la storia sacralizzata della «Città di Dio» di S. Agostino.
Già l'opus sectile, la tarsia, di cui Marazzi è massimo cultore in Italia, attraverso l'andamento curvilineo e la sintesi ovoidale di evidente matrice genesiaca, obbiettiva la non casuale volontà di convocare nell'attimo presente le due dimensioni del tempo, ovvero la memoria e il progetto per un’immediata contemplazione di una realtà nuova, sottratta alla contingenza, in grado di appagare l'ansia umanistica dell'eterno.
L'arte antica e nobile di tessere con pietre i ritmi creativi della fantasia, diventa lo strumento per approdare alle radici cosmiche, sfrondando così la storia da ogni referenza verista. L'esigenza di precisione non vincola la sua immaginazione, poiché la gestualità nell'assemblaggio diviene musica, danza che si effonde nello spazio: le libere astrazioni geometriche si legano, si sovrappongono, si rincorrono per la presa o l'abbraccio, offrono effetti luministici emergenti dal movimento.
Ma quanto sto dicendo a proposito della tarsia, occorre enfatizzarlo per le straordinarie sculture monumentali, dalla cui elaborazione emerge un altro fondamentale assunto di Marazzi, cioè l'eticità.
Mi riferisco qui al monumento «All'uomo di Bovillae», che diventa anima, coscienza di civiltà lungo la mitica Via Appia, però è lo stesso discorso valido per gli undici monumenti eretti in Italia e all'estero: la contingenza internazionale alla quale Marazzi, da puntuale intellettuale, presta enorme attenzione, lo ha portato all'impegno costante per la pace (memorabili le opere «All'uomo costruttore di pace», «Monumento alla Fratellanza tra i popoli»), dotando così la sua scultura di un sentito e profondo contenuto morale.
Ed è felice coincidenza che il monumento, fortemente voluto dall'Associazione «Appia Antica Bovillae», permetta al nostro artista di riallacciarsi alla suggestione del mondo classico, sorretto da una tensione umanistica, spirituale e sempre in grado anche nel nostro tempo di generare aspirazioni civili.
Ma l'eticità è conquista affidata da un lato ad una materia singolarissima, la pietra albana, pietra millenaria della sua terra e dall'altro alle modalità stesse di esecuzione delle opere, lavorate di pugno con l'obbedienza cieca alle regole proprie dell'«arte del togliere», perché dal masso affiori lentamente l'impronta dello spirito che drammaticamente si scrolla di dosso la pesantezza della materia.
Anche quest'ultima, immane fatica per Bovilìae (l'opera misura m. 4,20x1,70x1,20) si è consumata nella solitudine delle cave di Marino: nella gestualità antica e rinascimentale di Marazzi sembrava che il tempo si fosse arrestato a quei mitici secoli.
E si arresta ogni qual volta egli, homo taber, incalza a colpi di mazzuolo e di subbia l'idea perché fuoriesca dalla prigionia della materia e dall'oblio millenario.
Il suo diventa un gesto sacrale che arricchisce ogni giorno la più grande produzione di scultura in pietra albana mai eseguita al mondo. Credo proprio sia questo uno dei motivi per i quali a Marazzi sarà riservato un ruolo non secondario nella storia della scultura italiana del '900.
Ma veniamo all'analisi delle emergenze poetiche dell'opera che si inaugura a Boville. La costruzione richiama analoghe composizioni come il «Monumento all'astronauta», il «Monumento ai Caduti» recentemente eseguito per la città di Tolentino, e quello - assai noto - per il 7500 anniversario della fondazione della città di Berlino, eretto a ridosso dell'ex-'muro.
Scolpito con l'intento di produrre un grande effetto anche in lontananza, ripone nella semplicità scenica e nell'incasticità del movimento un'atmosfera di mitico arcaismo che ben s'inserisce nell'equilibrio della via consolare.
La pietra levicata con intensità varia non appare lucidamente fatalistica, poiché l'applicazione sulla superficie di raffinate, insistenti incisioni permettono la vibrazione della luce, che rende organica e vitalistica la forma.
Indubbiamente le suggestioni delle avanguardie storiche hanno funzionato qui, come altrove, da piattaforma ispirativa, filtrata però da un'originalissima grafia che introduce nel rigore geometrico delle linee, contenuti metaforici e simboli che accrescono la problematicità e il mistero di strutture al limite del biomorfo.
Come infatti non percepire, nell'attitudine piramidale della scultura in esame, allusioni dirette ad organi del corpo umano? Ma nella sintesi dell'immagine, nella volontà di congelare l'enfasi figurale c'è la netta ripresa del valore formale su quello contenutistico, grazie alla quale l'opera segna una tappa storica della produzione monumentale di Paolo Marazzi.